SIGFRIDO

Questa pagina è dedicata alla spiegazione in dettaglio della trama della terza parte del dramma musicale composto da Richard Wagner nella seconda metà del XIX secolo: “L’anello del Nibelungo”(Das Nibelungenlied). La parte spiegata in questa pagina è chiamata anche “Secondo giorno” ed è intitolata “Sigfrido” (Siegfried), dal nome dell’eroe di tutta l’opera. In questo capitolo si racconta di come egli porti a termine l’impresa di uccidere il drago Fafner e si innamori della bella Brunhilde.

Si ricorda che la trama dell’intera opera, spiegata in maniera più sintetica, è stata raccontata nella pagina dedicata a Wagner di cui questa è appendice.

SECONDO GIORNO: SIGFRIDO (Siegfried)

Atto primo

Sigfrido, figlio di Siegmund e Sieglinde che è morta dandolo alla luce, è ormai cresciuto e vive insieme al nano Mime, fratello di Alberich, nella caverna della foresta orientale dove è nato. Accortosi delle straordinarie virtù del giovane, il nano decide di aspettare il momento per portare il ragazzo al cospetto di Fafner perché lo uccida e gli consegni l’anello del Nibelungo che brama da anni.

Un giorno, Sigfrido chiede a Mime di raccontargli delle sue origini che gli sono state sconosciute fino ad allora, e il nano si vede costretto a raccontargli tutta la verità, compreso l’assassinio di Siegmund per opera di Wotan. Inoltre, gli mostra i resti della spada di suo padre, Nothung (ma chiamata Gramr nel poema originale), che il ragazzo vorrebbe far riparare anche se Mime insiste che egli non è assolutamente in grado di farlo.

Mime e Sigfrido bambino. Illustrazione di Arthur Rackham. Pubblico dominio.

Passa da quelle parti un viandante, che altri non è che Wotan (Odino) travestito. Chiede ospitalità a Mime e, come costume del re degli dèi, propone all’ignaro ospite di rispondere a tre indovinelli ciascuno, sicuro che saprà la risposta. Mime gli chiede allora quali sono le tre creature soprannaturali che vivono sottoterra, sulla superficie e nei cieli, e Wotan risponde senza incertezze: i nani (Nibelunghi), i giganti e gli dèi (Asi). Wotan (sempre travestito da viandante) chiede invece a Mime: quale razza è più cara a Wotan, il nome della spada che distruggerà Fafner (ormai trasformato in un drago per colpa della maledizione dell’anello) e il nome della persona che può forgiare tale arma. Mime conosce le prime due risposte: i Wälsi e la spada Nothung, ma non sa chi proprio chi sia in grado di ripararla. Wotan se ne va dicendogli che solo chi non conosce la paura potrà riuscire nell’intento, e questi sarà destinato a uccidere anche Mime.

Torna a casa Sigfrido che, deluso dall’incapacità di Mime nel riparare la spada, decide di cimentarvisi egli stesso. Il ragazzo, oltre che pieno di talento, è anche privo di paura, poiché Mime in tutti quegli anni non gli ha mai insegnato cos’è. Quando poi Mime vede che Sigfrido è riuscito nell’impresa in cui lui ha fallito, ed è riuscito a rimettere insieme i pezzi della spada, capisce che è lui la persona di cui parlava il viandante, e decide pertanto di avvelenarlo dopo che avrà ucciso il drago Fafner.

Wotan travestito da viandante e Mime. Illustrazione di Arthur Rackham. Pubblico dominio.

Atto secondo

All’inizio di questo atto, c’è un ultimo incontro tra Wotan e Alberich, nemici da quando il dio sottrasse l’anello del Nibelungo a quest’ultimo. Viene inoltre presentato il drago Fafner, padrone incontrastato dell’anello e del mondo, che in virtù di ciò è sicuro di non poter essere sconfitto da nessuno.

Più tardi, Mime conduce Sigfrido nella caverna di Fafner perché possa ucciderlo. Il ragazzo, grazie alla sua spada, riesce nell’impresa trafiggendo il drago nel cuore. Prima di morire, però, questi si fa rivelare da Sigfrido il suo nome, e una volta saputolo gli predice di stare lontano dal tradimento. Quando poi Sigfrido estrae dal spada da corpo morto di Fafner, si accorge che le sue mani sono sporche di sangue e decide istintivamente di berlo. Ciò lo fa diventare capace di comprendere la voce degli uccelli, uno dei quali gli suggerisce di di prendere con sé non solo l’anello del Nibelungo e il tesoro del Reno, ma anche l’elmo Tarnhelm che fa cambiare forma e diventare invisibili. Inoltre, gli racconta di una donna che giace addormentata nella foresta, e il ragazzo, che vorrebbe comprendere cosa sia la paura che Mime non gli ha mai insegnato, decide di recarsi da lei perché possa insegnarglielo.

Mime porge a Sigfrido, vincitore, il veleno che ha preparato per sbarazzarsi di lui, ma l’eroe adesso sa anche leggere nel pensiero e perciò lo rifiuta uccidendo Mime.

Sigfrido beve il sangue di Fafner. Illustrazione di Arthur Rackham. Pubblico dominio.

Atto terzo

All’inizio di questo atto, vi è un dialogo tra Wotan e Erda, la dea della terra predittrice del futuro. Wotan le rivela di non temere più la fine che era stata predetta agli dèi (chiamata Ragnarǫk nella mitologia norrena), perché adesso sa che la sua eredità passerà a Sigfrido, uccisore di Fafner destinato a liberare Brunhilde dal suo sonno.

Il nostro eroe, sulla strada per giungere da Brunhilde, s’imbatte poco prima in Wotan e sprezzante lo sfida a duello, durante il quale il giovane spezza la mitica lancia del nonno (chiamata Gungnir secondo la mitologia norrena) dando ancora una volta prova della sua forza e abilità.

Giunto da Brunhilde, Sigfrido, che adesso è anche invulnerabile, attraversa il fuoco che circonda il giaciglio della dea e la vede per la prima volta. Convinta che sia un uomo perché indossa l‘armatura della valchirie, si accorge solo quando gliela toglie che si tratta di una donna, un essere che non aveva mia visto prima. A quella scoperta, Sigfrido sperimenta per la prima volta cosa sia la paura. Non sapendo cosa fare, bacia Brunhilde e la risveglia dal suo sonno. Una volta spezzato l’incantesimo, i due si innamorano perdutamente.

Sigfrido scopre Brunilde. Illustrazione di Arthur Rackham. Pubblico dominio.