IL CINEMA

Ogni anno, in Germania, viene assegnato come riconoscimento ai migliori film tedeschi (e un tempo anche stranieri) il premio Deutscher Filmpreis, chiamato anche “Lola” dal nome di molti personaggi femminili interpretati da importanti attrici tedesche (tra questi, si cita la “Lola” di Marlene Dietrich in “L’angelo azzurro” e quella interpretata da Franka Potente in “Lola corre”).

Il premio “Lola”, così chiamato dal 1999, quando venne deciso di dargli la forma di una donna a imitazione del Premio Oscar (o Academy Award) statunitense, viene rilasciato dal 2005 dalla Deutsche Filmakademie durante una solenne cerimonia che si tiene al Friedrichstadtpalast di Berlino, anche se la sua prima istituzione risale al 1951, quando veniva assegnato da una commissione scelta all’interno della Germania dell’Ovest.

Il cinema tedesco ha avuto il suo periodo di maggiore splendore nella prima metà del Novecento, attraverso la produzione di capolavori immortali portavoce dell’Espressionismo, ovvero del movimento artistico che va dal 1905 al 1940 circa, e che ebbe la sua origine e maggiore espressione nella Germania degli anni tra la prima e la Seconda Guerra Mondiale. Questa corrente aveva come suo principale ideale l’esaltazione del sentimento e della drammaticità attraverso la rappresentazione di un mondo distopico e alienante, dall’atmosfera gotica e ostile.

I motivi per cui la Germania produsse proprio in quel periodo la maggior parte dei suoi film più famosi sono essenzialmente tre: il primo è che, data la corrente xenofoba che si era creata nella popolazione dopo la Prima Guerra Mondiale, i film stranieri non venivano più importati in Germania, o comunque ne venivano importati pochi, fatto che si intensificò negli anni del Nazismo (1933 – 1945) e che determinò un aumento della produzione cinematografica nazionale; il secondo motivo era il fatto che, proprio in quei difficili anni, ossia dopo la Prima Guerra Mondiale, la Germania si trovava a vivere un periodo storico fortemente drammatico, ovvero gli anni della Repubblica di Weimar (1919- 1933), considerati come una delle epoche più buie della storia tedesca. Questo determinò un’accentuazione del sentimento di angoscia e di disperazione presente nella popolazione locale, di cui il cinema, attraverso l’Espressionismo, si faceva portavoce. Infine, il terzo motivo fu di tipo economico: la forte crisi del Marco tedesco di quegli anni permetteva la produzione ed esportazione di film importanti a bassissimo costo, cosa che ne incentivò la creazione.

L’innovazione apportata dall’ Espressionismo al cinema muto fu la grande espressività dei personaggi, l’accentuazione del dramma e del sentimento attraverso la recitazione degli attori, cosa che non si era mai vista prima.

Anche la scenografia contribuiva all’esaltazione del sentimento, attraverso l’uso di pochi sfondi e luoghi – ma dotati di una forte simbologia – all’interno dei quali si muovevano i personaggi. Il cinema espressionista, infatti, era famoso per la mancanza di riprese esterne, in modo da accentuare il senso di “imprigionamento” all’interno di una situazione angosciante e soprattutto da permettere al regista di controllare interamente la scena. A causa della maniacale cura per i dettagli registici e scenografici, anche i tempi d’azione dei personaggi erano volutamente lenti, affinché lo spettatore avesse il tempo di osservare tutto. Tutto ciò che avveniva sulla scena doveva essere notato: le espressioni dei personaggi, le loro pose, la fotografia, ecc. Così facendo, il pubblico veniva indotto a provare le stesse emozioni drammatiche dei personaggi, come se “entrasse totalmente nella storia”. Fu per questo che i critici dell’epoca chiamarono gli sfondi utilizzati in questo periodo “lo schermo demoniaco”.

Il primo film tedesco considerato espressionista fu “LO STUDENTE DI PRAGA” (Der Student von Prag) del 1913, diretto da Stellan Rye e prodotto da Paul Wegener, che vi interpreta anche il protagonista. Questo importante film muto fu anche il precursore del genere horror e del genere noir.  

Ma un successo cinematografico ancora più grande lo ottenne “IL GABINETTO DEL DOTTOR CALIGARI” (Das Cabinet des Dr. Caligari) del 1920, capolavoro anch’esso horror e fortemente gotico, diretto da Robert Wiene.

Nello stesso anno uscirono “VON MORGENS BIS MITTERNACHTS” (Dal mattino a mezzanotte) di Karlheinz Martin e “ALGOL” di Hans Werckmeister, altri capolavori del cinema espressionista.

Un importantissimo film di quest’epoca fu “NOSFERATU IL VAMPIRO” del 1922, basato sulle vicende del conte Dracula narrate nel romanzo del 1897 scritto dall’inglese Bram Stoker. Il titolo originale del film è “Nosferatu, eine Symphonie des Grauens”, che in tedesco significa “Nosferatu, una sinfonia dell’orrore“. Questo film, diretto da Friedrich Wilhelm Murnau, è ambientato, proprio come il libro, in Transilvania, famosa regione della Romania; proprio per questo, il nome del vampiro protagonista è in rumeno (“Nosferatu” significa “non spirato”, alludendo al fatto che i vampiri sono morti viventi).

Nonostante il successo della pellicola, il regista venne denunciato dalla vedova di Bram Stoker per plagio del suo libro e violazione del copyright. Vinta la causa, la signora Stoker pretese che tutte le copie del film venissero distrutte; solo pochissime ne sono sopravvissute, e si trovano solo negli Stati Uniti (per queste ragioni, non è possibile inserire immagini del film in questa pagina).

Tuttavia, il successo del film è stato tale da ispirare il remake tedesco del 1979 “Nosferatu, il principe della notte” (Nosferatu: Phantom der Nacht) di Werner Herzog, nonché la creazione dell’orco Shrek protagonista del capolavoro animato della DreamWorks del 2001, le cui fattezze riprendono quelle di Nosferatu e il cui nome deriva da Max Schreck, l’attore tedesco che l’aveva interpretato nel ’22.

Nello stesso anno, Murnau diresse anche il film “FANTASMA” (Phantom), e in seguito “FAUST”, basato sul poema drammatico di Goethe.

Sempre nello stesso anno, uscì il film “IL DOTTOR MABUSE” (DrMabuse, der Spieler) del famoso regista FRITZ LANG, dove per la prima volta veniva sviluppato il tema della psicanalisi, nuova scienza sorta tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Il diabolico personaggio di Mabuse sarà protagonista di altri film dello stesso regista, tutti imperniati sulla mente e su come essa possa essere manipolata.

Nel 1924 uscì “IL GABINETTO DELLE FIGURE DI CERA” (Das Wachsfigurenkabinett) di Paul Leni, che racconta tre incredibili vicende in cui fantasia e goticismo si mescolano perfettamente tra di loro. Già in questa pellicola si possono notare pochi elementi espressionisti rispetto alle altre, simbolo dell’inizio della decadenza del movimento.

L’Espressionismo cinematografico ebbe infatti il suo apice tra il 1905 e il 1925, dopodiché la corrente artistica iniziò a venire lentamente sostituita dal Kammerspiel, che letteralmente significa “musica da camera” per alludere a una composizione intima e riservata a pochi. Questo movimento era l’esatto opposto dell’Espressionismo: se infatti l’Espressionismo esaltava il sentimento e la drammaticità fino a raggiungere livelli iperbolici, obbligando lo spettatore a sentire quello che sentono i personaggi, il Kammerspiel privilegiava la compostezza e la psicologia sottile, facendo sì che i personaggi facessero trapelare i propri sentimenti solo attraverso pochi dettagli. Non solo, ma veniva anche fatto molto uso della cinepresa mobile, come se lo spettatore “seguisse” coi suoi occhi i personaggi anziché venire proiettato all’interno di una vicenda osservata passivamente mentre altri si muovono al suo interno. In questa corrente, erano inoltre utilizzate le inquadrature esterne, totalmente assenti nell’Espressionismo vero e proprio. Quello che i due movimenti ebbero in comune fu comunque l’uso della simbologia, che continuò a essere presente anche quando il cinema divenne sonoro.

Col passare del tempo, venne aggiunto alle inquadrature anche l’effetto Schüfftan, così chiamato dal nome del suo inventore, Eugen Schüfftan. Questo effetto, ottenuto tramite l’uso di specchi birifrangenti, permetteva di inserire all’interno dell’inquadratura anche oggetti e personaggi fuori campo, oppure di ingrandirli a dismisura. Tutto ciò costituì un grandissimo passo avanti per la cinematografia, poiché, così facendo, potevano essere ottenuti sfondi immensi a bassissimo costo.

Nel 1924 uscì il film “L’ULTIMA RISATA” (titolo originale: Der letzte Mann, ossia “L’ultimo uomo”) diretto dallo stesso regista di “Nosferatu”: Friedrich Wilhlem Murnau. Questo film aveva lo scopo di rappresentare le vicende della Germania, completamente messa in ginocchio dall’Europa dopo la Prima Guerra Mondiale, attraverso la vicenda di un portiere d’albergo che perde il lavoro ed è costretto a sorvegliare i gabinetti. Alla fine, tuttavia, il protagonista riesce a diventare ricco attraverso uno zio americano, proprio come la Germania stava ottenendo finanziamenti dagli Stati Uniti attraverso il “Piano Dawes”. Oltre ad essere una metafora della nuova situazione politica tedesca, meno drammatica degli anni precedenti, il film costituisce una pietra miliare all’interno della storia del cinema per essere il principale esempio di Kammerspiel.

L’ultimo esempio di cinema espressionista propriamente detto è il capolavoro “METROPOLIS” di Fritz Lang del 1927, anch’esso allegoria di una realtà dell’epoca, ossia del mondo capitalista che schiaccia l’operaio e lo conduce alla totale alienazione. Nel film viene menzionato “il cuore” che si pone come mediatore tra “la mente” costituita dagli imprenditori e “il braccio” costituito dagli operai, metafora del Socialismo che, sorto nella seconda metà dell’Ottocento, in quegli anni stava prendendo sempre più piede in Germania.

Con l’arrivo degli anni ’30, il cinema comincia a diventare sonoro, e a focalizzarsi su argomenti completamente diversi. In particolar modo, ci si concentra sulla “psicanalizzazione” dei personaggi, come ne “L’ANGELO AZZURRO” (Der blaue Engel) del 1930, interpretato da Marlene Dietrich e diretto da Josef von Sternberg. Questo film, ispirato al romanzo “Il professor Unrat” di Heinrich Mann, narra la vicenda di uno stimato professore di ginnasio che, a causa della sua infatuazione per una cantante di varietà chiamata Lola, finisce per perdere il suo lavoro, e con esso anche la sua identità, che tenta a tutti i costi di recuperare.

Ancora più introspettivo è il famosissimo film “M – IL MOSTRO DI DÜSSELDORF” (titolo originale: M – Eine Stadt sucht einen Mörder, ovvero “M – una città cerca un assassino”) di Fritz Lang del 1931, magistralmente interpretato dall’attore ungherese Peter Lorre. Questo film, considerato uno dei più grandi capolavori espressionisti di tutti i tempi, narra la drammatica vicenda di un serial killer che rapisce e uccide i bambini perché affetto da malattia mentale da cui non riesce a liberarsi. Il film apre per la prima volta un forte dibattito sociale: se sia giusto o no condannare qualcuno che ha commesso atroci delitti perché condizionato da una malattia, anziché per propria volontà.

Negli anni successivi, il cinema tedesco affrontò un periodo di grande crisi – sia per l’avvento del Nazismo che per la terribile sconfitta subita dalla Germania durante la Seconda Guerra Mondiale – dalla quale solo alla fine del XX secolo riuscì a uscire, pur non superando mai la fortissima concorrenza americana.

Tra i film tedeschi più recenti e divenuti oggigiorno iconici occorre citareLA STORIA INFINITA (Die unendliche Geschichte) del 1984, una co-produzione tedesca, inglese e americana interpretata da attori americani (una menzione d’onore va data allo straordinario attore dodicenne Noah Hathaway nei panni di Atreyu). La pellicola è diretta dal regista tedesco Wolfgang Petersen e si basa sull’omonimo romanzo di Michael Ende. Questo primo film ha ispirato due successivi sequel interamente americani, che tuttavia non hanno ottenuto un pari successo.

Un altro film tedesco ormai divenuto un cult è “CHRISTIANE F. – NOI, I RAGAZZI DELLO ZOO DI BERLINO” (Christiane F. – Wir Kinder vom Bahnhof Zoo) del 1981, prodotto nella Germania dell’ovest e diretto da Uli Edel, il quale tratta del delicato problema della droga e della prostituzione fra ragazzi giovanissimi ispirandosi all’omonimo romanzo di K. Hermann e H. Rieck tratto da una storia vera (vai alla pagina sullo ZOO DI BERLINO per saperne di più).

Nel 1987 fu la volta de “IL CIELO SOPRA BERLINO” (Der Himmel über Berlin) diretto da Wim Wenders, co-produzione tedesca e francese che ebbe anch’essa uno straordinario successo e ispirò nel 1998 il remake americano “City of Angels” di Brad Silberling.

IL CIELO SOPRA BERLINO

Si citano poi “LOLA CORRE” (Lola rennt) del 1998 diretto da Tom Tykwer, “BUENA VISTA SOCIAL CLUB” del 1999, diretto sempre da Wim Wenders, e “GOOD BYE, LENIN!” del 2003, diretto da Wolfgang Becker. Quest’ultimo film, interpretato da Daniel Brühl, è divenuto famoso per aver parlato e mostrato al mondo, per la prima volta, il sentimento di nostalgia dei tedeschi dell’est (Ostalgie) verso la Repubblica Democratica tedesca crollata tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90.

Altro film iconico, prodotto nel 2004, è “LA CADUTA – GLI ULTIMI GIORNI DI HITLER” (Der Untergang) di Oliver Hirschbiegel, magistralmente interpretato da Bruno Ganz nei panni del führer.

Nel 2015 il personaggio di Hitler è stato interpretato da Oliver Masucci nel film “LUI E’ TORNATO” (Er ist wieder da) diretto da David Wnendt, il quale racconta, in chiave ironica, del magico ritorno di Adolf Hitler sulla Terra per cercare di ripristinare il nazismo e salvare la Germania dalla crisi economica, politica e sociale del 21° secolo.

Altri importanti film tedeschi sono “LA SPOSA TURCA” (Titolo originale: “Gegen die Wand”, ossia “Contro il muro”) del 2004, diretto da Fatih Akin, e “LA ROSA BIANCA – SOPHIE SCHOLL” (Sophie Scholl – Die letzten Tage) di Marc Rothemund del 2005, dedicato al movimento anti-nazista chiamato “La rosa bianca” che ebbe luogo in Germania dal 1942 al 1943.

Ultimo – ma non ultimo – occorre menzionare il film di produzione tedesca, italiana, spagnola e inglese “LA PAPESSA” (Die Päpstin) del 2009, diretto da Sönke Wortmann e interpretato splendidamente dalle attrici tedesche Johanna Wokalek e Lotte Flack. Il film, tratto dal romanzo americano di Donna Woolfolk Cross e ispirato al film inglese “La papessa Giovanna” del 1972, narra della leggenda tedesco-britannica dell’unica papessa donna mai esistita nella storia del Vaticano, la quale, travestita da uomo, riuscì a farsi eleggere al soglio pontificio nel IX secolo d.C.

Se sei interessato, vai anche all’appendice sull’argomento dedicata al CINEMA AUSTRIACO.

(Le locandine e le immagini dei film qui riportate sono prive di copyright. In caso contrario, si prega di segnalarlo tempestivamente inviando un’e-mail al titolare del sito internet tramite gli indirizzi presenti alla sezione CONTATTI del blog, e questi provvederà immediatamente alla loro rimozione).  

TORNA ALLA PAGINA SULLE CURIOSITA’